La Parrocchia
Storia, arte e cultura del piccolo borgo di Isola Farnese a Roma.
San Pancrazio Martire
La Parrocchia secondo alcune fonti, fu edificata nel 1400, mentre secondo altri la sua fondazione risalirebbe al 1200, a causa della presenza all’interno della Chiesa di un affresco, con le figure di S. Bartolomeo Apostolo, S. Giuliano nell’atto di uccidere i genitori e la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, datato IV secolo. Risalente al secolo XV, la Chiesa è stata rinnovata nel ’600. Fu consacrata il 20 Aprile del 1559 dal Vescovo Terpolitano, concedendo un anno d’indulgenza perpetua nell’anniversario della dedicazione. E’ stata trovata memoria di tale disposizione vescovile nel decreto della visita fatta nel 1630 dal cardinale Domenico Gynnasi vescovo di Porto. Fu eretta canonicamente come parrocchia nel 1590. Oltre ad essere dedicata la parrocchia a San Pancrazio, era anche dedicata alla Beata Vergine Coronata. Si trova nel piccolo borgo dell’Isola Farnese dominato dal Castello Farnese.
Scheda storica della parrocchia e delle opere
Esterno
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La facciata presenta un bel portale costruito con marmi di epoca romana, e sopra di esso un rosone con decorazione a vetro policromo. All’angolo sinistro murato nello spigolo esterno della Chiesa si trova un cippo marmoreo, di età romana, sulla parte frontale si legge l’epigrafe a L (Lucio) Munatio Felici Patri, mentre nella parte laterale è scolpito l’urceo, vasetto per uso sacrificale.
Il portone inaugurato nel novembre 2013, è composto da formelle in bronzo che narrano i momenti salienti della storia di San Pancrazio Martire: Conversione-Evangelizzazione-Decollazione-nella Gloria del cielo. È opera degli artisti Pino Schiti e Sara Chirico.
L’interno è a tre navate con abside. Ovunque, nell’edificio vi sono affreschi o resti di affreschi del XV-XVI secolo.
Navata centrale
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L’ingresso sul lato sinistro della navata centrale: qui c’è un’acquasantiera, costituita da due capitelli di epoca romana, tra i quali è inserito un marmo paleocristiano dove sono scolpiti due colombi che bevono ad una sorgente.
Affresco lato destro ingresso navata centrale: raffigurante la Madonna col bambino ed i Santi Giovanni evangelista e Antonio abate.
Madonna che allatta: lungo la navata centrale, dipinta sul pilastro centrale di destra, è raffigurata la Vergine Maria nell’atto di allattare Gesù Bambino, opera manieristica del 1500, quasi certamente della scuola del Sodoma, riecheggiante forme raffaellesche.
L’abside: impreziosito da un affresco cinquecentesco, suddiviso in due parti: la parte inferiore raffigura la dormitio della Vergine tra i dodici apostoli; la parte superiore Dio Padre che incorona la Madonna, affresco della scuola di Melozzo da Forlì. Nell’intradosso dell’arco absidale ci stanno cinque medaglioni raffiguranti i quattro evangelisti, in quello centrale abbiamo la figura dell’agnello. Sopra l’arco un affresco raffigurante l’annunciazione, la parte superiore è andata perduta.
Il tabernacolo del XVIII secolo: la porticina del XVII secolo, in rame sbalzato e dorato da un calice a rilievo con ostia.
Navata destra
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Affresco lato destro ingresso navata laterale: nella parte inferiore, si raffigura, S. Bartolomeo Apostolo, S. Giuliano nell’atto di uccidere i suoceri. Nella parla superiore, la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, datato IV secolo.
Il fonte battesimale: risalente al XVI secolo, ubicato nella prima cappella della navata di destra, nel quale è incastonato lo stemma dei Farnese. Ai lati della cappella sono raffigurati su tela due angeli, mentre in alto tre affreschi attribuiti al Panico: Sant’Andrea Apostolo, Gesù benedicente e Sant’Antonio di Padova.
Nella seconda cappella della navata di destra vi è un prezioso Crocifisso ligneo di scuola Giottesca del sec. XV, collocato sopra l’altare. Ai lati della cappella due affreschi raffiguranti San Sebastiano: sulla destra, il Santo è soccorso e curato dalle pie donne; sulla sinistra, il martirio, sullo sfondo il Colosseo e il Palatino. L’arco della cappella è sormontato dallo stemma della famiglia Farnese.
La navata laterale destra termina con un’altare, ove è collocata una tela raffigurante la Madonna col bambino ed i santi Domenico e Caterina da Siena, tela seguita nel XVII secolo attribuita a Giuseppe Cesari detto Cavalier d’Arpino (1639); essa è contornata da 15 piccole formelle ove sono raffigurati i 15 misteri del rosario.
Navata sinistra
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Affresco lato sinistro ingresso, navata laterale: raffigura la scena del presepe. Quest’ultimo affresco porta l’iscrizione con data e autore: tale Giulio di Mastro Cola della Bordella, nel 1520.
Nella navata di sinistra si trova sopra l’altare la tela di Sant’Antonio abate, della fine del 1600 inizio 1700.
La navata di sinistra termina con l’altare del santo titolare. Qui è collocata una tela di San Pancrazio martire del Pomarancio realizzata a cavallo tra il XVI e XVII secolo. Il paesaggio che si trova riprodotto sul lato destro della figura del santo, rappresenta una veduta di Isola Farnese. Sotto l’altare sono conservate le reliquie di San Pancrazio, Sant’Andrea Apostolo, Santa Lucia.
Il nostro Parroco Don Massimo Consolaro
È nato a Schio, provincia di Vicenza, città che ebbe il privilegio di annoverare tra i suoi cittadini l’umile schiava africana proclamata Santa da San Giovanni Paolo II: Suor Giuseppina Bakhita.
Prima di intraprendere il cammino sacerdotale, don Massimo lavorava come libero professionista, dedicando il suo tempo libero a opere di carità anche in paesi di missione. Sarà proprio in Brasile, nel lebrosario dell’amico missionario Don Mario Gerlin, che Massimo sentì la forte chiamata di Gesù al Sacerdozio, per cui decise di lasciare tutto per seguire Gesù Maestro.
Su invito del vescovo che lo guidava si trasferì a Roma ove svolgerà tutto il suo percorso formativo. Conseguirà, quindi, prima il baccalaureato in filosofia e in teologia presso la Pontificia Università Lateranense; poi la laurea in dogmatica con specializzazione in mariologia presso la Pontificia Facoltà Marianum e così pure la luarea in diritto canonico presso la Pontificia Università Urbaniana.
Venne ordinato presbitero a Roma, nella basilica di San Giuseppe al Trionfale, il 24 aprile 1999.
Il Santo – San Pancrazio
San Pancrazio è il Santo protettore della nostra parrocchia. E’ stato un giovane cristiano martirizzato all’età di 14 anni, a Roma sulla via Aurelia, sotto l’impero di Diocleziano; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa. San Pancrazio è uno dei cosiddetti Santi di ghiaccio, con san Servazio, san Mamerto e san Bonifacio di Tarso.
Scopri le tappe della vita di San Pancrazio
La nascita di San Pancrazio
La Frigia, alla fine del II secolo d.C., era una regione dell’Anatolia occidentale, (attuale Turchia) governata all’epoca, in quanto parte della Diocesi asiana, da Diocleziano attraverso suoi soprintendenti. Di questa regione, due erano le principali città: Synnada e Apamea.
Presso Synnada vivevano due giovani sposi, Cleonia e Ciriada, appartenenti ad una ricca famiglia romana, tanto ricca da avere in proprietà, a Roma, sul colle Celio, una villa. Entrambi erano pagani.
Ciriada portava in grembo il suo primogenito. Questa giovane donna, però, verso la fine del 289, perse la vita dando al mondo il suo figlioletto. Al nascituro, venne dato il nome di Pancrazio, che, nel linguaggio ginnico dei greci, significa “lottatore”.
All’età di otto anni, Pancrazio perse anche il padre Cleonia. Quest’ultimo prima di morire, affidò il suo unico figlio alle cure di suo fratello Dionigi, chiedendogli di fargli da tutore, ovvero di provvedere alla sua educazione e curare, fino a che non avrebbe da solo potuto, l’amministrazione dei beni lasciatigli in eredità.
Il suo viaggio con lo zio a Roma
All’età di circa dieci anni (299), con lo zio Dionigi, Pancrazio si trasferì a Roma. Durante il viaggio in nave, il giovane osservava con ammirazione alcuni schiavi che, aiutati da un gruppo di persone, insieme pregavano facendosi il segno della croce, e consumavano i pasti. Accortosi Dionigi della curiosità del nipote, comunicò a Pancrazio che quelli erano cristiani. Avvertendo il giovane l’ammirazione che lo zio nutriva nei confronti dei cristiani e della loro dottrina, gli chiese di conoscere la storia di Gesù di Nazareth. Lo zio, in quella occasione, preferì non rispondere alla richiesta del nipote, promettendogli però che, una volta giunti a Roma, gli avrebbe permesso, nel caso avesse voluto, di incontrare i cristiani e di conoscerli.
Il suo ingresso nella comunità cristiana
Approdati al porto di Ostia, si misero in cammino alla volta di Roma. Roma, a quei tempi, era la capitale di un grande e magnifico impero, ma questo aspetto non catturò per nulla l’attenzione del piccolo Pancrazio, il quale, invece, avvertiva forte nel suo animo il desiderio di conoscere i cristiani. Dionigi decise, per accontentare il desiderio di Pancrazio, di prendere contatti con alcuni cristiani. Da questi furono presentati e introdotti nella comunità guidata da Papa Marcellino, il quale, con gioia, sotto loro richiesta, li ammise al catecumenato. Nel tempo del catecumenato, zio e nipote, poterono non solo approfondire la verità e la solidità della dottrina cristiana, ma poterono anche osservare da vicino la vita dei cristiani. Ebbero modo di vedere con i loro occhi quanto la vita dei cristiani fosse differente da quella dei pagani, soprattutto poterono osservare da vicino quanto i cristiani si amassero, aiutandosi e sostenendosi a vicenda per ogni necessità, sia spirituale che materiale. Zio e nipote si inserirono in questo mistero di comunione e anche loro iniziarono a contribuire alla vita della comunità in tutto, offrendo, per le necessità dei fratelli, anche cospicue donazioni.
Terminato il catecumenato Dionigi e Pancrazio ricevettero il battesimo che, con ogni probabilità, venne celebrato la notte di Pasqua dell’anno 301. Nella stessa celebrazione accedettero anche al sacramento dell’Eucarestia, comunicandosi per la prima volta.
La persecuzione dei cristiani
Il 1° marzo 293, a Nicomedia, capitale dell’Impero romano d’oriente, fu nominato cesare – titolo imperiale che, nella riforma tetrarchica dioclezianea, era subordinato a quello di Augusto – Galerio, un uomo proveniente da una modesta famiglia illirica, il quale, salendo rapidamente la gerarchia nell’esercito romano, fu notato dall’imperatore Diocleziano, di cui sposò la figlia Valeria.
Galerio, romano di fede, non solo perseguitava tutte le religioni che rifiutavano di onorare i dei romani, ma possedeva un’avversione particolare per i cristiani. Per tale motivo, Galerio riuscì a persuadere il suocero, Diocleziano – il quale era stato sempre tollerante verso tutti i culti religiosi – inducendolo ad emanare un primo, un secondo e un terzo editto contro i cristiani, con il fine di sopprimerli.
Nel primo editto si decretava non solo che a quanti non avessero abiurato alla fede cristiana sarebbero stati confiscati i beni, ma anche che si sarebbe proceduto con:
- la distruzione delle chiese;
- il rogo dei libri sacri;
- il divieto di assemblee;
- il divieto di tentare azioni giuridiche;
- la perdita di cariche o di privilegi delle persone di alto rango;
- l’arresto di alcuni funzionari dello stato.
Nel secondo editto si stabilì l’incarcerazione di tutto il clero, in tutti i suoi gradi.
Con il terzo, poiché nelle carceri per questa ragione si era creato un sovraffollamento, l’imperatore decretò la scarcerazione di quanti avessero abiurato alla fede cristiana, e la condanna a morte di tutti gli altri. Questo terzo editto diede via alla stagione della prima grande persecuzione cristiana, stagione che passò alla storia come il “tempo dei martiri cristiani”.
Il suo Martirio
Dionigi e Pancrazio, alla vista dei cristiani che testimoniavano la fedeltà e l’amore per Gesù fino all’effusione del sangue, rimanevano ammirati. Ben presto, anche per loro giunse il tempo di rendere testimonianza a Cristo, infatti, nella primavera del 304, si presentò, presso la villa dove abitavano, un ufficiale giudiziario con una scorta di soldati, in quanto zio e Nipote erano stati accusati di essere cristiani e sostenitori della Chiesa.
Pancrazio e Dionigi, consapevoli dei rischi che correvano nel testimoniare il loro amore per Cristo e la sua Chiesa, con animo lieto e senza timore si consegnarono alle mani delle guardie.
Alla prima udienza, il magistrato, presentò loro l’accusa, chiedendo se questa corrispondesse a verità. Entrambi, zio e nipote, confermarono l’accusa testimoniando pubblicamente la loro fede in Gesù Cristo. A questo punto, il magistrato chiese se fosse loro noto il contenuto degli editti imperiali con i quali si bandiva la fede cristiana e che prevedevano la pena capitale per coloro che non avessero abiurato a tale fede.
Finito l’interrogatorio allo zio Dionigi, il magistrato si rivolse direttamente al giovane Pancrazio al quale chiese le generalità. Pancrazio, pur avendo solo 14 anni, rispose al Magistrato con serenità dicendogli di essere nato in Frigia, da genitori non cristiani, ma che, giunto a Roma, si era convertito al cristianesimo e che cristiano intendeva rimanere.
Il magistrato pensando che il giovane fosse stato plagiato dallo zio, nel tentativo di dissuaderlo, rinviò l’udienza al mattino del 12 maggio, affidando il caso direttamente al giudizio dell’Imperatore Diocleziano.
In quella circostanza l’Imperatore, nutrendo un iniziale simpatia nei confronti di Pancrazio, nel tentativo di farlo ritrattare, non solo gli ricordò cosa sarebbe accaduto a chi non avesse abiurato alla fede cristiana, ma iniziò a promettergli grandi favori e privilegi. Pancrazio con grande fierezza, rispose che non avrebbe mai obbedito al volere dell’imperatore e offerto incenso alle divinità romane e che, inoltre, lui riteneva ingiusti gli editti imperiali. Dichiarò ancora di non temere la morte e di essere cristiano.
L’imperatore, come tutti i presenti, anche se rimase ammirato per la fierezza del giovane, vedendo la sua determinazione si irritò decretando immediatamente la sua decapitazione, che avvenne nel pomeriggio dello stesso giorno.
Eseguita la condanna, il corpo di San Pancrazio, unito alla sua testa, fu avvolto in teli di lino e sepolto da una matrona romana di nome Ottavilla, presso una catacomba scavata nella sua proprietà.